Stregata dai Torii
|
Kyoto, ore 9.45
Ci alziamo tardi, il nostro albergo di Kyoto ha la colazione americana inclusa, a scelta tra Starbucks o Holly's Cafè, entrambi situati al piano terra del palazzo.
Per oggi optiamo per Starbucks: buono ma esagerato, visto che l'alternativa è tra un menù dolce composto da cinnamonroll, ciambella e succo d'arancia, oppure salato, composto da due sandwich e il caffè. Mi sento un po' in colpa per le calorie, ma pazienza perchè abbiamo in programma di visitare il santuario di Fushimi Inari Taisha e sono sicura che le smaltirò.
Per oggi optiamo per Starbucks: buono ma esagerato, visto che l'alternativa è tra un menù dolce composto da cinnamonroll, ciambella e succo d'arancia, oppure salato, composto da due sandwich e il caffè. Mi sento un po' in colpa per le calorie, ma pazienza perchè abbiamo in programma di visitare il santuario di Fushimi Inari Taisha e sono sicura che le smaltirò.
Si tratta di un complesso di templi maggiori e minori, famoso per il suo straordinario numero di torii, i portali rituali, situato a Fushimi-ku e posto alla base del monte Inari.
Nella parte inferiore della collina ci sono la porta principale che, come per il castello di Osaka, si racconta sia stata costruita da Toyotomi Hideyoshi e il Go-honden, il primo santuario, mentre inoltrandosi nella montagna e seguendo il sentiero di torii si arriva al santuario interno, l'Okumiya.
L'ingresso ricorda un po' quello di Yasaka che abbiamo visitato ieri, ma nonostante i numerosi turisti ho l'impressione di trovarmi in un luogo più spirituale, forse perchè mi arriva il profumo dell'incenso trascinato dal vento mentre un monaco all'interno del Go-honden recita la sua lituania e sono circondata da fedeli che pregano, fanno offerte ed esprimono desideri.
Ovunque ci sono piccoli torii di legno, che si possono acquistare e legare ai diversi altari assieme ad una preghiera, come una sorta di ex voto.
Finalmente, arrivo al famoso corridoio di portali e realizzo il mio sogno di percorrerlo.
La galleria comincia ciclopica, alcuni di questi enormi cancelli risalgono al 711 d.C. ed ognuno di essi reca sul retro l'iscrizione di chi lo ha donato al dio Inari, kami del riso e degli affari, in cambio di buona sorte. Poi, dopo qualche metro il passaggio si interrompe per ricominciare con due corridoi di portali più piccoli, fittissimi, che salgono paralleli e sono di una bellezza mozzafiato.
Il secondo tratto di torii conduce all'Okumiya, dove ci sono altri templi minori ed una moltitudine di ema, piccole tavolette votive sulle quali i fedeli shintoisti scrivono le loro preghiere e i loro desideri e rappresentanti delle kitsune, le volpi, venerate perchè considerate messaggere del kami e raffigurate con la chiave del magazzino del riso in bocca.
Inizia la vera e propria salita nel bosco che conduce fino alla cima della collina.
Ci vogliono circa quattro ore di cammino per percorrere l'intero sentiero, considerando anche la discesa e senza contare le numerose deviazioni, fatto che scoraggia la maggior parte dei turisti, che si ferma solo a metà, ma non me.
Eppure vale tutta la fatica. Man mano che si sale, più diventa bello e silenzioso perchè ci lasciamo indietro tutti coloro che non hanno più voglia di proseguire. Alla fine rimangono solo i fedeli, e mi rendo conto che si tratta di una specie di via crucis: ogni tanto le gallerie si interrompono e c'è un tempietto, il fedele si lava le mani con l'acqua sacra (che non si puó toccare direttamente, ma solo con una sorta di mestolo di legno), la beve, la sputa, fa un offerta, scuote una corda legata ad un sonaglio e riparte.
In cima alla montagna, trovo il lato nascosto di questo luogo così spirituale: centinaia e centinaia di suggestivi monumenti in pietra per il culto privato, gli otsuka. Nel periodo Meiji qui tra i boschi vennero riconosciuti sette shinseki, luoghi sacri, sui siti di altrettanti antichi santuari e furono creati tumuli chiamati oyazuka. Questo portò i fedeli a venire qui in pellegrinaggio e a deporre i propri otsuka, dove le persone incidevano i nomi delle divinità secondo le loro credenze personali.
A questo punto ci meritiamo una pausa. Fa caldo ed ho sete, approfittiamo di uno dei diversi chioschi che si incontrano fino a metà del percorso dove preparano il kakigori, le famose granite giapponesi.
Proseguiamo il nostro cammino e quando finalmente ritorniamo all'ingresso del santuario siamo affamati. Decidiamo di spiluccare qualcosa da una delle numerose bancarelle del tempio e proviamo un'altra preparazione tipica, i takoyaki.
Sono delle polpette di polpo cotte su un'apposita piasta, conditi con la salsa Otafuku e guarniti con kasuobushi, i fiocchi di tonnetto essiccato.
Ricordano vagamente gli okonomiyaki, soprattutto per la consistenza, ma per i miei gusti il polpo contenuto all'interno è un po' troppo gommoso e non mi entusiasmano.
Rientriamo a Kyoto, esausti, la giornata è andata via in un lampo, abbiamo impiegato più tempo del previsto per la visita ad Inari, ma sono rimasta stregata da tutto quel bellissimo arancione.
Prima di rientrare all'hotel, faccio un' ultima tappa a Gion lungo lo Shirakawa come mi ero promessa ieri, per vederlo con ancora un po' di luce e non ne rimango delusa.
Il canale è costeggiato da salici e da ochaya le cui verande si affacciano sull'acqua ed avendo il vantaggio di essere un po' più defilato e meno conosciuto del centro dell'hanamachi, qui sembra veramente di fare un tuffo in un passato lontano e valeva davvero la pena visitarlo.