Vittima del jet lag
Osaka, ore 08.06
Sbarchiamo in uno stato di euforia e semi incoscienza all'aeroporto del Kansai, per noi è l'una di notte, ma qui il sole è già alto e maschera le tredici ore di volo completamente insonni che ho alle spalle. La prima immagine che ho del Giappone è l'Oceano e questa pista in mezzo all'acqua sorprendentemente mi ricorda tanto, anzi troppo quella di Genova... Anche l'impronta di Renzo Piano nella progettazione del terminal è abbastanza evidente e mi sento quasi delusa per non avere un impatto più esotico nell'istante in cui finalmente ho messo piede dall'altra parte del mondo.
Adesso direzione Kobe.
Abbiamo tre opzioni: il ferry boat, il bus navetta o il treno. Decidiamo che per prima cosa è meglio cambiare i voucher del japan rail pass con il pass vero e proprio, puntiamo quindi alla rail station del secondo piano. Un attimo dopo aver ottenuto i pass ci convinciamo che le linee ferroviarie sono facilissime da capire (in effetti le indicazioni sono chiare ed anche in inglese), che per arrivare a Kobe Sannomiya Station bisogna andare in direzione Kyoto, scendere a Shin-Osaka, cambiare linea e prendere la grigia per Kobe. Va bene, partiamo. Nei sottopassaggi di Shin-Osaka incappiamo nei tipici gruppetti di pendolari che fanno la fila per i bento, i famosi cestini per il pranzo.
Non resistiamo alla tentazione ed anche se con i nostri mezzi riuscire a capire gli ingredienti o cosa possa esserci all'interno di queste colorate scatoline è impossibile, non ci scoraggiamo e scegliamo a caso.
Con 7€ ci dividiamo il contenuto svelato: nighiri, sottoaceti, verdurine varie sapientemente intagliate, qualche pezzetto di tempura, rigorosamente monodose e porzionato. Al palato è una sorpresa perché anche se amo particolarmente la cucina giapponese, il bento supera qualsiasi mia aspettativa.
Arriviamo a Sannomiya ed ora sono davvero stanca e un po' spaesata, tra le macchine che viaggiano nel senso opposto, ideogrammi, eleganti signore che girano col parasole ed altri con la mascherina mi sento un pesce fuori dall'acqua. Chiediamo indicazione per l'albergo e veniamo scortati fino all'ingresso da un passante, che si perde due volte.
Eppure sembrano tutti così carini, modesti, educati e disponibili, un popolo meraviglioso. Alla reception dell'hotel mi fanno scegliere da un cesto "per signore" tre gadget di benvenuto (opto per: una maschera per il viso, una limetta per le unghie e una bustina di latte detergente), tuttavia ci informano di non poterci dare le chiavi della camera fino alle tre. A questo punto vorrei morire. Ci tengono i bagagli, così non resta che ributtarci in strada.
Cerchiamo disperatamente un posto dove riposarci, mentre gli odori intorno si fanno sempre più strani, quasi insopportabili, sembra un'ovvietà e pure un pensiero così stupido, ma improvvisamente è diventato tutto così cinese che mi viene da piangere, mi sento una sciocca ed ho l'impressione di aver fatto un grossissimo errore ad aver desiderato per quasi 15 anni di voler essere qui. Intorno ci sono solo minimarket e simil fast food orientali affollati per la pausa pranzo, quasi tutti hanno le riproduzioni in plastica dei piatti in vetrina, ma non abbiamo idea di cosa siano e i menù sono incomprensibili. Optiamo per un posto che fa i soba e gli udon. All'inizio non capiamo nemmeno come fare ad ordinare, poi la cameriera a gesti ci mostra dei distributori alle pareti: ci sono tanti ideogrammi e delle piccolissime fotografie corrispondenti al nome del piatto. Inseriamo il denaro, scegliamo a caso e ci esce un ticket da consegnarle.
Ci vengono portati due diversi tipi di spaghetti, con una specie di brodino in cui supponiamo vadano intinti, il tutto freddo. Poi cipollotto tritato e wasabi da aggiungere, fettine di quello che sembra mandarino cinese sottaceto e due ciotoline con il riso, una con uova e tonkatsu l'altra con sopra una tartare rigorosamente cruda che può essere tranquillamente:
- di tonno?
- di manzo?
- di pollo?
Non sono certa di volerlo sapere. Esagero con la salsa di soia e la rendo immangiabile. Girovaghiamo ancora un po', ma siamo stremati, decidiamo di andare ad aspettare che arrivino le tre in albergo. Crollo con la testa su un tavolino da tè maledicendo l'inclemenza nipponica. Finalmente ci fanno salire, spendo le ultime mie forze per una doccia record e svengo sul letto.